Non lezioni ma laboratori del pensiero.
È così che mi piace “definire” - se mai fosse possibile farlo – gli incontri con i detenuti in carcere. Incontri ogni volta diversi. Cambiano i volti delle persone che mi trovo davanti e spesso accade che la stessa persona non sia quella della volta precedente. Dipende da svariati accadimenti, infinitesimali o meno, tutti determinanti. In carcere il tempo sembra fermo e invece tutto cambia rapidamente: un colloquio che va storto, un amico che esce, una sentenza definitiva... Di fronte a me c'è un magma ribollente di pensieri che circolano come api impazzite. Alcuni di questi pensieri sono straordinari, potenti, originali; altri retorici, banali, insinceri. Tutti vanno considerati.
La cattività per tanti è fermarsi e guardarsi dentro, un'operazione complessa e rischiosa, mi dicono tutti. Ma chi ha il coraggio di “guardare il lupo negli occhi”, mi restituisce visioni del mondo lucide, precise, taglienti. Oppure trasognate, assurde, immaginifiche, malinconiche.
Il bello del fare filosofia è che si gioca su un terreno neutro. Che non ci sono idee da difendere a tutti i costi, o che acquistano più o meno importanza a seconda di chi le esprime. Siamo tutti uguali dinnanzi alla filosofia. E – come mi disse una volta un detenuto – si può fare filosofia anche parlando di una scarpa.
Che cosa è questo tavolo? Mi capita spesso di fare l'esempio del tavolo parlando di Platone e del mondo delle idee. La prima volta che ho affrontato l'argomento ho usato il gatto. Che è più carino, meno freddo. Quando pensate a: “gatto” non pensate mai al concetto astratto di gatto ma vi fate l'idea di un gatto preciso, secondo la vostra esperienza e il ricordo dei gatti in cui vi siete imbattuti. Platone sosteneva che pur mutando i gatti specifici, l'idea gatto è una e una sola. E funge da essenza per tutti i gatti a venire. E sta in un mondo a parte, l'Iperuranio, finché non scende giù e si incarna nel gatto Morfeo o nel gatto Ettore o nel gatto anonimo che sta passando ora su quel muretto.
È sorprendente, perché mi aspetto che questa storia delle idee sia noiosa per i detenuti, o ridicola. E invece, suscita una straordinaria attenzione. L'esempio del tavolo, uguale. La scrivania alla quale sto seduta, dietro cui parlo, metto il palmo della mano sopra la scrivania e dico, questo tavolo cosa è?
Silenzio. Sopra le teste si materializzano punti interrogativi.
S. fa una domanda che non c'entra niente. È rimasto al discorso precedente, quello che riguarda Dio e la dimostrabilità/indimostrabilità della sua esistenza. Lo so che dovrei tenere in mano il filo, ma capisco che per S. chiarire questo punto è importante e l'offenderei se gli dicessi, “dopo S., adesso parliamo del tavolo”. Poi lo ricondurrò alla partenza, intanto mi lascio portare da un'altra parte. Il discorso prende un'altra strada. A. dice che non si devono leggere le scritture alla lettera sennò si esce di senno… il nuovo arrivato, R., che va a catechismo, dice: “Ma io ho bisogno di sapere che c'è qualcuno da pregare”. E, giustamente, A. mi fa notare che mica si possono pregare Aristotele e Platone! Il discorso - dicevo - vaga e vaga ed E., seduto in fondo all'ultimo banco, scrive. Non interviene, non dice nulla. Ascolta. E scrive. Le sclere dei suoi occhi brillano nel nero dell'ovale. Un ragazzone grande e grosso che forse per la prima volta in vita sua sente parlare di filosofia… mi fa una tenerezza infinita. Con la sua matita in mano, diligente, prende appunti. Ma qui stiamo esaurendo il tempo e dopo aver divagato tra dio e Socrate e Platone e visto che io non sono lì per guarirli, salvarli, guidarli verso la luce del bene e robe simili ma per aiutarli a ragionare, torno con delicatezza al mio tavolo. Tanto più che qualcuno mi fa notare che non ho ancora detto che cos'è il tavolo. Già, ma che diavolo è il tavolo? Poi qualcuno parla anche della porta e dice “Mi sorprendo sempre a quanti modi di dire “porta” ci sono al mondo, e poi perché si dice proprio porta”. Mi viene in mente un esempio che ho letto da qualche parte, le porte marciranno, si scrosteranno, si disferanno... le scrivanie e i tavoli pure, ma ci sarà sempre qualcuno che costruirà tavoli e porte e scrivanie. Sempre diversi, sempre uguali.
Ecco, forse abbiamo scoperto che cos'è l'essenza del tavolo.