Illustrazione di BRUNO OLIVIERI
Biografia - Sceneggiatore, disegnatore, colorista, giornalista pubblicista. Ha collaborato e collabora con alcune delle più importanti case editrici nazionali ed estere (Walt Disney Italia, Humanoïdes Associés, Dupuis, Piemme, Panini Comics) con la pubblicazione di storie a fumetti e illustrazioni e per il Giornalino (Edizioni San Paolo) disegnando le storie a fumetti dell'elefantino Paky (testi di Fabrizio Lo Bianco) e del piccolo investigatore John Watson (testi Beppe Ramello).
Sempre per il Giornalino scrive e disegna le storie a fumetti de “La Pazza Classe di Herbert” e per la Panjoy Comics le storie di “Spillo l’Amico Coccodrillo”, “SuperBea” e “Julius, il piccione”. Si occupa anche di illustrazioni di libri per ragazzi, di satira politica e di costume, collaborando con alcune note testate giornalistiche cartacee e online. Nel 2007 collabora come co-autore con la Piquiz snc alla realizzazione del corto animato “Dopo trent'anni prima”, prodotto dalla ISRE Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna e successivamente collabora alla realizzazione del corto animato “Mosca” per i Cartoni dello Zecchino D'Oro (RAI Fiction – Antoniano) e “La Neve” (RAI Fiction – Antoniano) regia di Silvio Camboni.
Tra i vari riconoscimenti attribuitigli: il premio speciale alla satira al «Premio CartaVetrata 2008». Secondo classificato alla 6a Edizione del «Premio Internazionale di Umorismo e Satira di Costume «Giuseppe Novello 2012». Menzione speciale al «Premio CartoonSea» 2012 e “Premio Speciale” nell'edizione del 2013. Premio speciale della Giuria al «Festival de l'Internazionale di Ferrara 2015». È stato docente di animazione web, grafica e impaginazione e materie informatiche presso la IFOLD di Cagliari. Dal 2018 è docente presso la scuola di fumetto “Fumé” di Cagliari diretta da Massimo Dall’Oglio.
Estratti dai commenti dei detenuti - edizione 2019 del progetto I Classici dentro e fuori il Bassone
Breve trama - clicca per accedere alla trama del libro.
“Le parole più belle su una persona si dicono quando muore. Le persone vengono pervase da un senso di colpa per non averle rivolto un complimento, per un augurio mancato, per un grazie dietro al gesto della persona morta. Ma soprattutto i suoi difetti, le sue mancanze, i suoi sbagli vengono come per magia lasciati perdere o perdonati. Almeno una speranza c'è anche per noi detenuti, dobbiamo solo aspettare e questo lo sappiamo fare molto bene.
Capitolo III, pagina 25. “Abbiate cura dei rami, soprattutto quelli che sembrano più forti. Sono quelli che cedono quando meno te lo aspetti.” Okay, abbiamo sbagliato, commettendo un reato, diventando soggetto del codice penale, abbiamo preso la condanna, pre-sofferto, sofferto. Possibilmente soffriremo eternamente come il Purgatorio di Dante prima dell'Inferno. Ma questo dipende da noi, dipende da me. Posso essere un ramo che si spezza, ma posso rendere degna la mia vita. E degna non vuol dire per forza dentro i canoni, può essere qualunque azione che mi rende orgoglioso di me, nel silenzio e lontano dagli occhi di tutti. Non devo per forza compiacere, è una cosa intima. E poi leggo le mani bianche e il loro concerto. Mi sento di aver compreso.
Il viaggio di Guglielmo. Non voglio commentarlo, perché un uragano di emozioni non si può commentare. Ho solo voglia di strappare dal libro quelle tre pagine e mettermele nel portafoglio, come la foto di un defunto a te molto caro, come la foto della donna della tua vita, come la foto dei tuoi figli. Ma il mio portafoglio è al casellario del Bassone e quindi è meglio tenermi nel cuore quelle poche righe, il celestiale Guglielmo.
“Per Carlo, le parole non dette ...” - Magari non tutti i capitoli mi prendono ma questo è di quelli che mi colpiscono, mi risvegliano. Carlo operava, salvava la vita dei bambini e avrei voluto conoscerlo. Ma è ripagato perché il ricordo di Concita gli rende giustizia, riconoscenza. Io invece sono in una sala operatoria, costretto a non operarmi, come altre 60.000 persone e altrettante in attesa. Qui dove sono io c'è sempre un via vai, una confusione dove gli angeli della morte e della vita sono sempre a litigare. Non come il medico livornese che lavorava tra il reparto di malattie terminali e la maternità nell'ottavo capitolo, dove gli angeli si prendevano un caffè. E in questo momento penso alla mia storia, il perché sono qui. Ho una storia come tutti i 60000 e visto che siamo insieme dovremmo avere qualcosa in comune. Ma percorrerlo all'indietro è faticoso, anzi pieno di sofferenze e credo che nessuno ha voglia di farlo, nemmeno sotto tortura. Nessuno, almeno, sincero al 100%. E perché farlo quando siamo al giudizio già dato, e non parlo del giudizio freddo di un giudice, ma di quello meschino dell'opinione pubblica, di quelli che ingannano la morte fingendo di non pensarci.”
(Cit. A.X. 2019)
“Cavolo ragazzi, quanto mi appartiene questo libro! Io ho vissuto personalmente la scomparsa della mia compagna mentre ero qua in carcere, lo squallore nello squallore. E' uno tsunami, ragazzi, credetemi. E' devastante. Meno male che ho un carattere forte e la depressione l'ho accompagnata cortesemente fuori dalla porta. Ma torniamo a Concita: interessante quanto sia affascinata dal mistero morte, chissà se veramente le persone che amiamo ci osservano da lassù. Boh, personalmente io vedo mia moglie anche nello sguardo di un piccione che ho adottato qua in carcere. E la verità, non c'è dubbio, i bambini devono sapere la verità, se una persona non c'è più, la verità prima di tutto. Verissimo, siamo noi a non essere preparati, non loro.
Concita dice il dolore deve attraversarti e io aggiungo perché ti costituisca, ecco io non ci sono mai riuscito se qualcuno di voi ci è riuscito, mi piacerebbe che me lo scrivesse, Katia me lo farà avere.
Elvira interessante quando ha fatto costruire una panchina intorno all'albero dove nessuno si siede si guarda in faccia. Ecco Concita tocca un tema che trovo alquanto attuale: i rapporti interpersonali sono andati a sciamare, io ricordo fino a due anni fa mi alzavo alle 5 di mattino per andare al lavoro, ero in affidamento cioè in misura alternativa al carcere, io faccio il cuoco e per arrivare a casal pusterlengo dove era il ristorante prendevo il treno, allucinante. Una volta il treno era un luogo dove ci si poteva sfogare con i compagni di viaggio, sai quando non conosci una persona puoi dire anche la verità, o non, tanto non ti conosce nessuno. Invece adesso sono tutti imballati col telefono in mano e se alzano gli occhi e li guardi, pensare pure ma mi sta spiando? Che zombie, ragazzi, tristissimo.”
(Cit. G.D.S. 2019)
“La parabola del carrubo è molto bella, in teoria è così: forme diverse, stesso peso. La vita reale mi racconta però un'altra cosa, nel senso che nessuno può avere lo stesso “peso” in una società che misura quasi tutto con criteri molto materiali. Ci sono i grandi e i piccoli, siamo noi e sono loro, sono i potenti e ci sono i deboli, stesso sangue sì, ma purtroppo non sono le stesse lacrime.
Cosa mi rimane di questo libro? E' la cosa che sento da 2 anni anche nel contesto religioso dove mi sono “immerso”, cioè attraversare il dolore affinché mi costituisce e trasformarlo in forza. Condividere il dolore, perché è più facile da sopportare? E' vero, ma per capire veramente il dolore dell'altro ci vuole una cosa che ci capita raramente, cioè l'empatia. E poi se uno non vuole condividere o non c'è nessuno con cui condividere? Beh allora bisogna dirsi: La vita è così e continuare a combattere perché quelli che vivono sono quelli che lottano.”
(Cit. M.D. 2019)
“Quando mi hanno dato questo libro, e ho chiesto di cosa trattava, mi è stata data una risposta che mi ha stupito fin da subito, cioè di funerali e della morte in generale. E partirei subito da questo spunto, che tratta molto bene Concita De Gregorio, cioè il fatto che non si parla quasi mai della morte, come spiega molto bene anche lei, per esempio ai bambini si cerca sempre di nascondere la morte di una persona vicina, per paura di qualche shock. O di noi adulti che cerchiamo di sviare, forse per paura del non sapere cosa ci possa essere dopo la morte, un argomento di tabù, quando invece fin dai tempi a sempre fatto parte della nostra vita.
Il classico in questione ci suggerisce molto bene come viene percepito questo tema ai giorni nostri, trattando questi temi con un po di ironia, perché purtroppo sembra quasi che la cosa più preziosa sia la morte e non la vita. La mia idea di morte e che forse non ho un idea della morte, almeno per quanto mi riguarda non ci penso più di tanto, perché potrebbe succedere in qualsiasi momento anche prendendo ogni tipo di precauzione.
Allo stesso tempo molto spesso penso alle persone che mi sono andate a mancare nella vita, andando dai parenti fino a agli amici, perché ci penso? Perché mi piace immaginare come potrebbe essere la vita delle persone che hanno lasciato se ci sarebbero ancora, compreso me stesso. Leggendo il libro molto inconsciamente o almeno trattando di quello, mi sono venute in mente molte persone che ho perso, come i miei nonni che hanno dovuto sopportare una grande sofferenza prima di lasciarmi, o ai giovani amici persi quasi tutti per incidenti sul lavoro o per colpa di incidenti stradali. Ma oltre al pensiero delle persone perse, grazie a questo libro ho rivissuto dei momenti molto particolari avvenuti nelle occasioni della morte, un esempio è quando avevo litigato abbastanza pesantemente con un amico e dopo anni a non sentirci, al funerale di suo padre ci siamo riavvicinati con un semplice sguardo di reciproco rispetto, dimenticando tutto quello che era successo.”
(Cit. L.C. 2019)